Altre opere alla fine del XIV secolo

Altre opere in Friuli alla fine del XIV secolo

Il Zuliani distingue una produzione «quasi vernacolare» che si prolunga fino nel Quattrocento da un’altra più elevata e operante soltanto fin verso il finire del Trecento: esempi di quest’ultima sono il notevole ciclo di Santa Maria in Vineis a Strassoldo della seconda metà del secolo da collegare all’Adorazione dei Magi nell’abside dell’Oratorio di Santa Maria in Valle (Tempietto longobardo) della fine secolo, gli affreschi in San Giacomo e Anna di Venzone e quelli nella chiesetta di Santo Stefano in Clama ad Artegna della fine del secolo, nel San Francesco di Cividale con dipinti della prima e altri della seconda metà del secolo e ancora a Cividale nella chiesa di S. Biagio con le Storie di S. Biagio della fine secolo e tanti altri ancora di minor importanza.
A questo panorama, sostanzialmente articolato in episodi più che altro d’àmbito sacro, si devono aggiungere anche i rari frammenti pittorici di provenienza domestica: fra tutti, quel che rimane della decorazione di un’ampia sala nella casa Antonini Perusini a Udine (in séguito staccata), con scene agricolo-venatorie e di giardino, appartenenti con tutta probabilità a un ciclo dei mesi. I brani sono quasi unanimemente riferiti agli ultimi anni del XIV secolo.

Santa Maria in Vineis di Strassoldo del XIV sec.

Gli affreschi di S. Maria in Vineis di Strassoldo costituiscono uno degli episodi più rilevanti e meno conosciuti della pittura friulana del Trecento. Si tratta di un ciclo che riguarda tutte le pareti della chiesina purtroppo rovinati parte dall’umidità e molto dal fatto di esser stati sfregiati dalla “picchettatura” per una successiva intonacatura.
Rappresentano le storie di Gioacchino e Anna (genitori della Vergine), la Madonna con Bambino e Santi, la Natività di Cristo, Adorazione dei Magi, Fuga in Egitto e Giudizio Universale.
Il livello artistico è tale per cui, localmente, si sono fatti i nomi di Vitale da Bologna , di Masolino da Panicale, di Tommaso da Modena , tutti pittori che durante la loro vita hanno sostato in Friuli, ma non è affatto dimostrato, allo stato attuale delle ricerche, che uno o l’altro di essi abbia avuto occasione di lavorare a Strassoldo.

[fig. 06_Adorazione_Magi_1350_ca tratta da Affreschi del Friuli, p. 92 tav. XLVI]

Il segno sicuro, le figure espressive, l’equilibrio della immagine, il morbido rilievo del modellato, la cordiale comunicativa degli sguardi, la tavolozza calda di alcuni riquadri danno per certo un “linguaggio” di provenienza o scuola bolognese. Così per alcuni critici d’arte.
Altri sostengono che a Strassoldo si debba vedere un seguace di Tommaso da Modena o in qualche modo influenzato dalle forme portate in Friuli da maestri emiliani o romagnoli.
Quasi certamente, nella massima parte, i dipinti si possono assegnare al quinto o sesto decennio del ‘300 e potrebbero senz’altro essere legati anche all’ambiente degli aiuti di Vitale da Bologna che fu a Udine nel 1348.
Per finire, F. Zuliani, nel suo studio sull’argomento, ritiene che gli affreschi furono dipinti da più mani però sotto la direzione di un solo artista che egli ama definire il “maestro di Strassoldo”.
Certo è che la stessa mano appare almeno nell’Adorazione dei Magi del “Tempietto longobardo” di Cividale.

Santi Pietro e Biagio di Cividale, affreschi del XIV sec.

La chiesa di San Biagio (recte dei SS. Pietro e Biagio) a Cividale è situata nella piazzetta dalla quale si accede al Tempietto Longobardo.
La sua fondazione sembra risalire al periodo romanico e conserva un interessante quanto poco conosciuto ciclo d’affreschi medioevali sia nelle pareti delle navate (pitture duecentesche, con notevoli fregi decorativi, e trecentesche con figure di santi), che nella cappella di S. Biagio.
E’ ancora visibile, oltre alle storie della vita di S. Biagio (dodici episodi in cattivo stato di conservazione riconducibili all’ultimo quarto del XIV secolo, in cui pare di poter scorgere ( a detta del Bergamini) un’influenza austriaco-slovena), il molto rovinato ciclo dei mesi nello zoccolo, al quale appartiene anche il cavaliere a cavallo, ove l’ignoto artista si mostra veloce nel cogliere le parti essenziali della composizione, nel fare vivere le figure con tocco sicuro e di gusto quasi impressionistico.

Chiesa di S. Francesco a Cividale, affreschi del sec. XIV-XV

e conserva nel suo interno interessanti brani d’affresco, purtroppo per la maggior parte guasti e poco conosciuti, che testimoniano della presenza di maestranze emiliane o venete, quando non siano locali, operanti nella città ducale nel XIV e XV secolo.
Ad un primo gruppo d’affreschi di generica derivazione giottesco-riminese (prima metà del Trecento) appartiene il riquadro con S. Ludovico da Tolosa, entro una nicchia archiacuta, con ai lati (ma divisi da pilastrini) S. Maria Maddalena che riceve la comunione e S. Lorenzo diacono (entro una nicchia ad arco trilobo). Questo S. Ludovico, figura oltremodo statica e pregna di forza icastica, trova straordinaria somiglianza con un analogo soggetto della chiesa di S. Francesco a Udine. Questi caratteri appaiono anche nei Santi dei riquadri laterali e, in minor misura, in altre composizioni della stessa chiesa: Madonna in trono con Bambino e due Santi e altre figure di Santi. Tra le due finestre dell’abside c’è una Crocifissione con la Madonna e S. Giovanni.
Un’altra Crocifissione è visibile in un vano a destra del transetto (pur se molto guasta e rovinata dalle picchiettature) ed anch’essa può essere considerata eseguita da un maestro appartenente alla scuola giottesco-riminese: la scena è complessa ed è chiusa, in alto, da un riquadro con un arco a tutto sesto. Ai piedi della Croce la Maddalena, a destra di chi guarda S. Giovanni ed un’altra figura mutila , a sinistra il gruppo delle Pie Donne; angeli sopra ed ai lati della Croce. Lo schema ricalca quello della Crocefissione giottesca di Padova, ma il patetismo delle allungate figure, l’uso di colori più squillanti rispetto a quelli di Giotto, la deformazione dei tratti del volto (valga per tutti quello della Maddalena), parlano un linguaggio riminese.
La chiesa di San Francesco conserva anche affreschi della seconda metà del XIV secolo che possono essere assegnati, genericamente, a maestranze friulane postvitalesche: cosi, ad esempio, il frammento d’una Annunciazione sulla parete sinistra della cappella centrale, la Madonna con Bambino sulla parete destra della cappella centrale, le Storie di S. Antonio in sagrestia (da collocarsi alla fine del secolo).
Non mancano affreschi quattrocenteschi, tra i quali notevoli sono l’Adorazione dei Magi e l’Annunciazione, sulla parete destra del presbiterio. Se nel primo affresco, accanto a motivi iconografici tipici della scuola bolognese, appaiono particolari desunti da Tommaso da Modena e da Altichiero (ecco il volto paffuto e bonario di uno dei Magi con accanto il palafreniere ed un cavallo umanizzato), ma ridotti in chiave provinciale, nell’Annunciazione ritroviamo un brano di grande poesia nella delicata dolcissima immagine della Vergine, il cui manto, ampiamente campito di colore scuro quasi senza panneggio, contrasta con la veste dell’angelo dalle morbide pieghe a canna d’organo.

Chiesa di S. Giovanni dei Templari a S. Tomaso di Maiano (prima metà del XIV secolo)

Sul fianco Sud, all’esterno, della chiesa di S. Giovanni a S. Tomaso di Majano che dà verso la piazza, sono visibili i resti di una decorazione a fresco che con ogni probabilità si estendeva, originariamente, sull’intera parete. Sono raffigurati, sopra la porta, tre santi: S. Giovanni Battista, S. Giacomo e S. Nicolò e, tra i due primi, la figurina del committente, forse Artuico di Varmo; più a destra un gran /S. Cristoforo// di cui rimane solo il busto.
La chiesa è affrescata anche all’interno, sulla parete destra, con un Giovanni Battista e due gruppi di oranti sotto cui si legge la firma dell’autore: EGO NICOLUT(us) FILI(us) JACOBI D(e) GLEM(ona). Gli affreschi sono stati restaurati dopo il terremoto del 1976 a cura della Soprintendenza ai beni culturali del Friuli-Venezia Giulia.
L’intero ciclo di affreschi è venuto alla luce verso il 1970, ma soprattutto la scoperta della firma del loro autore ha permesso di chiarire la personalità del pittore Nicoluto da Gemona, figlio di Giacomo, e già morto, secondo i documenti, nel 1382.
Gli affreschi di S. Tomaso costituiscono secondo la Walcher, «il più antico documento - a tutt’oggi conosciuto - sicuramente databile di un artista [pittore] sicuramente friulano». Nicoluto è un pittore che parla un linguaggio personale «autoctono», ancora immune da influssi vitaleschi. La linea incisiva, il tratto di pennello fermo che allunga gli occhi e arrotonda le labbra, i colori freddi e squillanti fanno pensare ad opere di «estrazione nordica», in ogni caso si tratta di un linguaggio nuovo e personale.
Nei quaderni dei Camerari della Pieve di Gemona si parla di un viaggio di «maestro Nicolau» a Venezia «ad emendos colores» nel 1329: cronologicamente dunque gli affreschi di S. Giovanni potrebbero essere collocati tra questa data e il 1348, anno della venuta in Friuli di Vitale da Bologna.

Duomo di Gemona: cripta di S. Michele

Il sacello di S. Michele si trova sotto le sacrestie e l’accesso è esterno al Duomo. Non di cripta dunque si tratta, ma secondo la Maria Walcher di una cappella mortuaria dell’attiguo Ospedale di S. Michele, esistente fino al terremoto del ’76. L’origine del sacello non è documentata, ma nel ’57 il Marchetti dà notizia su “Voce Amica” del ritrovamento di alcuni affreschi della seconda metà del XIV secolo.
Gli affreschi sono praticamente relativi ad una sola parete e rappresentano nel riquadro al centro una Crocifissione secondo una iconografia che riecheggia quella di S Marco del XIII secolo, nel riquadro a sinistra S. Michele Arcangelo e in quello di destra S. Cristoforo.
La Walcher collega, persuasivamente, questi dipinti a quel Nicoluto da Gemona che ha firmato gli affreschi (lacerti) della chiesa di S. Giovanni dei Templari a S. Tomaso di Majano.

Duomo di Venzone

Il panorama pittorico del Trecento friulano deve tener conto per un verso dei guasti del terremoto del ’76 (ad es., perdita completa della Cappella del Gonfalone nel Duomo di Venzone), ma anche di sparse e tuttavia importanti presenze che soltanto ora, in séguito ai numerosi ritrovamenti e restauri successivi al sisma, incominciano ad affiorare, testimoniando d’una vitalità fin qui insospettata. Basti, come esempio, il notevole affresco, purtroppo incompleto, del Duomo di Venzone: un lungo lacerto, posto nell’abside destra, recentemente studiato (Forgiarini 1993-94) e databile non oltre la metà del ‘300, che sembra opera di un artista bolognese vicino a Vitale.
Affresco raffigurante la consacrazione del Duomo avvenuta nel 1338, con il Patriarca Bertrando, nove vescovi suffraganei e una schola cantorum in primo piano, impostato secondo una prospettiva improbabile e che si presenta come opera della seconda metà del ‘300 non lontana dai modi dell’artista degli affreschi dell’abside del Duomo di Spilimbergo.
Affresco raffigurante S. Giorgio e il drago, della metà del XIV secolo.
Nel 1970, durante i lavori di restauro del duomo di Venzone, nell’abside sinistra, sotto l’affresco staccato e riposizionato raffigurante la consacrazione del Duomo, sono venuti alla luce degli affreschi, limitati da riquadri, che rappresentano la Trinità con accanto S. Giacomo, un S. Giorgio che uccide il drago e una Madonna in trono. Staccato il dipinto della Consacrazione nello strato superiore, il ciclo di affreschi in questione, di poco antecedente, è diventato chiaramente leggibile, rivelando un S. Giorgio che uccide il drago, con una pallida e trasognata principessa di fianco.
Si tratta di una scena di «sapore cortese», eseguita da un pittore locale che scandisce le figure con una linea marcata ed un colore vivace. I personaggi sono colti frontalmente senza nessun interesse per la collocazione spaziale.
La figura dell’orante nella strombatura della monofora romanica (prima del terremoto si poteva vedere nelle strombature una crocifissione ed altro) viene assegnata al XIII secolo.

S. Giacomo e Anna di Venzone

Fuori la cinta muraria di Venzone, ai piedi del Monte Ledis, si trova la Chiesa dei Santi Giacomo e Anna. È costituita da una aula rettangolare, con tetto a capriate scoperte, termina con un presbiterio più basso, pure rettangolare e chiuso in alto con volta a botte. All’esterno la facciata, che culmina con un campanile con monofora, è preceduta da un atrio ampio come l’aula, aperto sui tre lati con archi a sesto acuto.
La chiesa, gravemente danneggiata durante i terremoti del 1976, è stata completamente restaurata nelle sue linee primitive. Anche gli affreschi dell’interno, con in particolare un ciclo di Apostoli di scuola vitalesca, sono stati parzialmente recuperati.
La loro datazione è della fine del XIV secolo; dell’influenza della scuola romagnola e dell’accostamento del ciclo degli Apostoli a quello della chiesina di Santo Stefano in Clama di Artegna, proposti dal Bergamini, si è detto.
La chiesetta è ricordata nei documenti venzonesi a partire dal 1350, ma opere in essa contenute, come i due rilievi dei Santi Pietro e Paolo, fanno pensare che essa sia sorta sul luogo di una precedente costruzione, probabilmente della prima metà del XII secolo. Ha subito nel tempo qualche rimaneggiamento: il portico, ad esempio, è un’aggiunta del XVI secolo (vi si legge la data: 1525). Per la semplicità e la chiarezza dei moduli costitutivi è un bell’esempio di quelle tante chiesette votive sparse sull’intero territorio friulano.

[fig. 14_Venzone_ex_Cappella_Gonfalone tratta da Affreschi del Friuli, p. 112 tav. LVI]

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