Pittura tra il XV e XVI secolo

Pittura tra XV e XVI secolo

Il Bellunello (Andrea di Bertolotto), Belluno 1430 ca - S. Vito al Tagliamento 1494

È considerato precursore dei Tolmezzini e iniziatore del gusto rinascimentale in Friuli. Lo caratterizzano una certa asprezza di segno e un robusto cromatismo. Tuttavia il giudizio critico risulta diverso a seconda delle opere che gli si riconoscono: lo stile del trittico di Forni di Sopra e quello degli affreschi esterni del Castello di Spilimbergo sono parecchio diversi, soprattutto per una spazialità classica riscontrabile solo in questi ultimi, e pur non essendoci grande differenza temporale tra i due lavori (ca. 1480) .
Ebbe la considerazione dei contemporanei, mentre per i critici moderni pare piuttosto una figura di transizione tra il modo gotico e quello rinascimentale, tuttavia ancora molto legato al mondo tardogotico.
Sue opere si trovano ad Arzenutto, Forni di Sopra, San Vito al Tagliamento, Savorgnano di S. Vito, Prodolone, Gleriis, Spilimbergo, Udine.
Andrea Bellunello nasce intorno al 1430 a Belluno. Si trasferisce ben presto in Friuli, dove dal 1455 è documentato a San Vito al Tagliamento; qui il pittore fissa definitivamente la sua residenza, pur abitando per qualche periodo a Udine e Pordenone, e a San Vito vuole essere sepolto nel 1494. Le prime opere di cronologia certa dell’artista si collocano nell’ultimo quarto del secolo XV, dalla grande tela con Crocfissione e Santi di Udine (Museo Civico, 1476) alla Madonna col Bambino in trono (1477) nella Chiesa di S. Giovanni Battista a Oderzo (affresco staccato da palazzo Zoccoletti), il polittico su tavola della Chiesa di San Floriano a Forni di Sopra (1480); realizzazioni in cui varia la tecnica, ma non la cifra stilistica di un autore che attraverso il suo grafismo (per taluni critici di ascendenza padovano-vivarinesca) raggiunge talora esiti di raffinato miniaturismo descrittivo, ma rimane sostanzialmente estraneo alla spazialità del rinascimento pittorico italiano.
Successivamente il Bellunello ottiene i più convincenti risultati negli affreschi delle chiese di S. Lorenzo a S. Vito al Tagliamento (S. Vincenzo Ferreri, 1481), S. Giacomo a Brugnera (S. Bernardino), Ss. Filippo e Giacomo ad Arzenutto di S. Martino al Tagliamento (Madonna col Bambino, Santi e Angeli cerofori), il trittico nel Duomo di S. Vito (1488) e soprattutto in due grandi decorazioni esterne: gli affreschi di Palazzo Altan-Fancello a San Vito e quelli sulla facciata del Castello di Spilimbergo, databili al nono decennio e attribuitigli, da alcuni critici, per ragioni stilistiche, per la sua documentata presenza in loco e per gli stretti legami della famiglia Spilimbergo con gli Altan di San Vito, principali committenti dell’artista, ma non c’è unanimità su questa attribuzione.
Bellunello fu attivo anche come intagliatore (Madonna col Bambino di Cavarzano e un analogo gruppo ligneo in Museo Civico a Pordenone).

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Gianfrancesco da Tolmezzo (Gianfrancesco del Zotto), Socchieve 1450 ca. - Tolmezzo 1511

Nulla sappiamo della sua formazione e assai poco della sua vita.
Indubbiamente i tratti fondamentali dell’arte di Gianfrancesco sono nordici; un grafismo esibito e testardo, l’espressione dei volti ottenuta spesso con decisa caratterizzazione, la scultoreità dei volumi e la monumentalità delle figure, l’impostazione cromatica noncurante dell’orchestrazione dell’insieme, il panneggio spesso pergamenaceo a pieghe stilizzate, i capelli arricciati con striature marcate.
Per la formazione artistica di Gianfrancesco si può pensare ch’egli abbia appreso quanto c’era da apprendere nelle locali botteghe (Leonardo Thanner, Bellunello, ecc.) e che il superamento del loro modesto livello e l’affermazione di una sua propria individualità siano stati merito del suo carattere e della sua capacità.
Resta inteso che, nonostante le difficoltà dei trasporti e le scorrerie delle bande turche, i viaggi sopratutto a Venezia, che potevano aggiornare gli artisti sulle novità o che talvolta avevano lo scopo dichiarato di acquistare materiali e colori, erano abbastanza usuali e lo sappiamo da fonti scritte.
Quindi nulla vieta di pensare che Gianfrancesco possa aver visto a Venezia qualche opera dei grandi pittori della fine del ‘400: Giovanni Bellini detto il Giambellino (1425-30 - 1516), Antonello da Messina (1430-1479), Carlo Crivelli (1430-1493), Andrea Mantegna (1431-1506), Alvise Vivarini (1445-1505), Cima da Conegliano (1460-1518), Vittore Carpaccio (1465-1525), Giorgione da Castelfranco (1477-1510). Altro discorso è se un qualche influsso possa essergli derivato dall’aver visto tali opere perché si fatica a vederne nei suoi lavori.
In interi cicli decorativi, nei singoli affreschi e nelle pochissime opere su tavola giunte sino a noi (Madonna col Bambino e Angeli musicanti, Venezia, Gallerie dell’Accademia; Madonna col Bambino in trono e Santi, Castel d’Aviano (in deposito presso il Museo Civico di Pordenone), 1507 ca.; Polittico di S. Martino, Socchieve (1511), Gianfrancesco sa amalgamare una spazialità rinascimentale con una costante attenzione alle suggestioni iconografiche offerte dalle stampe nordiche ravvisabile sin dagli esordi, ma esplicitata al massimo grado nel ciclo a fresco di Provesano, del 1496, nel quale egli, ad esempio, reinterpreta le soluzioni date al tema iconografico della Passione di Cristo da Martin Schongauer. Un certo accostamento alla lezione, ad esempio, di Giovanni Bellini, si può vedere soprattutto nell’ultimo periodo, così nella Madonna col Bambino di Prata (databile intorno al 1500) o nella sua ultima opera, il Polittico di San Martino a Socchieve, lasciata incompiuta a causa di un’epidemia di peste che quasi certamente pose fine alla vita di Gianfrancesco, nel 1511.
Sue opere si trovano nelle chiese di S. Nicolò di Comelico, 1482; S. Antonio Abate a Barbeano, 1489 ca.; S. Lorenzo di Forni di Sotto, 1492; S. Martino a Socchieve (affreschi del 1493 e trittico del 1511); S. Leonardo a Provesano, 1496; S. Gregorio e S. Giuliana a Castel d’Aviano, 1497 ca. ; ancora affreschi a Prata (1499), S. Floriano a Forni di Sopra, ca. 1500 ; nel duomo di Pordenone, Budoia, Torre, Cordenons, tutti del primo decennio XVI sec.

Pellegrino da S. Daniele (Martino da Udine), Udine 1467 - 1547

Figlio del pittore Battista Schiavone, Martino da Udine, meglio noto come Pellegrino da San Daniele, fu a bottega, in Udine, prima presso un oscuro Antonio da Firenze e successivamente in quella di Domenico da Tolmezzo.
Ma nel suo primo dipinto, che ci è pervenuto, risente piuttosto dell’influsso veneziano e padovano che dello stile tardogotico della provincia friulana: la pala della Madonna in trono tra santi, angeli musicanti e putti, per la parrocchiale di Osoppo (1494), in cui si evidenzia una caratteristica della pittura di Pellegrino e cioè la disposizione dei personaggi, un po’ impalati, secondo una piuttosto rigida simmetria che riempie gli spazi, mantenendo tuttavia sempre una buona correttezza del disegno.
Viene successivamente (1497 ca.) la pala della Madonna in trono tra S. Giuseppe e S. Caterina regina, che si trovava nella distrutta chiesa di Madonna a Gemona, ed è di attribuzione non unanime come altri lavori purtroppo non firmati.
Del 1500 è la pala di S. Giuseppe per il duomo di Udine, dal linguaggio ormai maturo: l’opera ebbe un successo tale da portare a Pellegrino importanti commissioni come il polittico di S. Giovanni (1501) per il monastero di S. Maria in Valle (oggi al Museo Archeologico Nazionale di Cividale) e il trittico per la basilica di Aquileia (1503).
Dal 1504 frequenta Venezia e Ferrara e continua quella sua vita irrequieta e vagabonda che gli meritò il nome di Pellegrino.
Soggiornò quindi, con frequenti rientri in Friuli, fino al 1513 alla corte di Ferrara, un mondo artistico in fermento dove svolse un’attività multiforme di cui però oggi non rimane nulla.
Reduce da quelle scuole dipinge l’Annunciazione del Museo di Udine (1519).
Fanno parte a sé gli affreschi dell’abside della chiesa di S. Antonio Abate a S. Daniele, a cui attese in varie epoche e con vari collaboratori (Florigerio e Fogolino). Qui con la sua bottega, decorò il coro e parti delle pareti della chiesa di S. Antonio a più riprese, tra il 1497 e il 1522 circa; si avverte infatti un’evoluzione da una concezione grafica della pittura, con i contorni ben delineati, ad una maniera nuova più sfumata, tipica del Giorgine ad esempio, in particolare nel riquadro dei tre santi Sebastiano, Giobbe e Rocco sulla parete a destra dell’arco trionfale.
Un’altra sua opera è il polittico raffigurante la Madonna in trono con le quattro vergini aquileiesi, i SS. Giovanni Battista e Donato con ai due lati i SS. Sebastiano e Michele, eseguito per la Confraternita dei Battuti (ora al Museo Archeologico) a Cividale, ultimata nel 1528.

Il Pordenone (Giovanni Antonio de’ Sacchis), 1483 - 1539 Pordenone - Ferrara

Tutto lascia credere che sia stato scolaro e poi collaboratore di Gianfrancesco da Tolmezzo, ma ebbe rapporti di lavoro, documentati, anche con Pellegrino da S. Daniele (infatti fu a Ferrara con lui nel 1508). Il Marchetti nota compiaciuto che egli partì da una visione e da un’esperienza nettamente friulana della pittura e vi si mantenne fedele fino a circa trent’anni.
Poi, nel 1514, in occasione di un soggiorno a Venezia, pare abbia avuto quel contatto con la pittura veneziana e con Giorgione (1477-1510) in particolare che lo colpì e lo trasformò, portandolo ad usare il colore in funzione costruttiva e non soltanto decorativa, restandogli peraltro una certa inclinazione alle sovrabbondanze anatomiche e alle impetuosità compositive che talvolta lo farà apparire un precursore del barocco.
Attorno al 1518 un altro evento contrassegnò la pittura del Pordenone: l’incontro, a Roma, con la pittura romana e in particolare con le opere di Michelangelo (1475-1564).
Dopo aver soggiornato e lavorato a Venezia, in Emilia e altrove, nel 1536 si stabilisce definitivamente a Venezia, ricco di esperienza e di fama, e incomincia la sorda lotta con il cadorino Tiziano Vecellio (1488-1576) a cui in particolare contende, con successo, i lavori in palazzo Ducale.
Sul finire del 1538, su invito del duca Ercole d’Este, si recò a Ferrara e nel gennaio successivo fu trovato morto nella stanza della locanda dove alloggiava. Avvelenato, si disse subito, su mandato di Tiziano.
Secondo il Marchetti, egli toccò spesso i livelli più alti della bravura e talora esagerò per eccesso di spinte contrarie: il germanismo friulano e la pinguedine correggesca , quindi fu artista diseguale e spesso non armonioso. Ma fu quello che realizzò i primi contatti tra Venezia e Roma e fu tale maestro di creazioni che i maggiori artisti lo accettarono e lo studiarono: da Paolo Veronese (1528-1588) al Tintoretto (1560-1635) e al Caravaggio(1573-1610).
È l’unico pittore friulano riconosciuto degno di menzione anche nei manuali di storia dell’arte italiana, sicuramente perché ha una maggior visibilità di altri avendo lasciato suoi notevoli lavori in Emilia e a Venezia.
Sue opere, delle quali si propongono le immagini, sono: il Trittico a fresco di S. Stefano a Valeriano (Pinzano al Tagliamento), 1506; gli affreschi del coro di S. Lorenzo a Vacile di Spilimbergo (1506-10); la volta della chiesa di S. Odorico di Villanova di Pordenone (1514) con i Padri della Chiesa seduti ai loro scrittoi, secondo lo schema caro anche a Gianfrancesco da Tolmezzo; la Madonna con Bambino e Santi di Vallenoncello di Pordenone (1513-14); la Madonna e i Santi nella parrocchiale di Susegana; gli Sportelli dell’organo di Spilimbergo (1514 e poi 1524); Pala della Madonna della Misericordia nel Duomo di Pordenone (1515) in cui si sente l’influsso del Giorgione; affreschi nel Duomo di Cremona (4 affreschi tra cui una Crocifissione di 12x9,2 metri, con una folla di personaggi in una visione esasperata e vorticosa di sapore già barocco) (1521); la pala con S. Gottardo tra S. Sebastiano e S. Rocco nella Pinacoteca di Pordenone (1525); gli affreschi dell’abside in S. Pietro a Travesio (1516-26) in cui si riconosce la corposità mutuata dalla vista dell’opera di Michelangelo; la Natività in S. Maria dei Battuti a Valeriano (Pinzano al T. 1527); il ciclo di affreschi nella Parrocchiale di Pinzano (1527); la pala con Madonna col Bambino tra i Ss. Lorenzo, Giacomo, Michele Arcangelo e Antonio abate di Varmo (1526-1529).
Gli affreschi dell’abside della chiesa di S. Croce a Casarsa della Delizia sono anch’essi attribuiti al Pordenone ma completati, come risulta da un documento, dal genero P. Amalteo nel 1536.
Il ritorno dell’artista alla sua “maniera grande” si registra nel 1528, allorché lascia il Friuli e si trasferisce a Venezia, dove lavora nella Chiesa di S. Rocco (affreschi del coro e tavole con S. Martino e S. Cristoforo, 1528-1529) e dove incontra successo il suo stile innovativo, capace di innestare alcuni tratti distintivi del manierismo tosco-romano.
L’ultimo decennio della sua vita si apre con la decorazione ad affresco della cappella Pallavicino nella chiesa dei Francescani di Cortemaggiore (1529-1530 ca.) e con la grande impresa pittorica di S. Maria di Campagna a Piacenza: Pordenone decora la cupola, la cappella di S. Caterina e, poco più oltre (1532-1536 ca.), quella dei Magi, dimostrandosi attento alle coeve creazioni di Parmigianino e Correggio. Abbiamo poi pala di S. Lorenzo Giustiniani Venezia 1536, l’Annunciazione a S. Maria degli Angeli di Murano 1537
Ormai stabilmente impegnato da commissioni di alto livello come quelle per gli affreschi di facciata in Palazzo Doria a Genova e Palazzo D’Anna a Venezia, purtroppo distrutti, l’autore muore improvvisamente a Ferrara nel gennaio 1539, come detto.
Giovanni da Udine (Giovanni del Ricamatore) , Udine 1487 - Roma 1561
Si può suddividere la vita artistica di Giovanni da Udine in tre tempi:
- 1°) fino a trent’anni fece, senza successo, il pittore avendo appreso l’arte alla bottega di Giovanni Martini, a Udine, nel periodo in cui questo si dedicava alla pittura, rivaleggiando con Pellegrino da S. Daniele (fine XV secolo).
- 2°) Nel 1517 va a Roma ed entra, non si sa come nella cerchia di Raffaello che dipinge le Logge Vaticane (1517-19) al primo piano.
“Quando Giovanni arrivò a Roma, il fastoso e mondano pontificato di Leone X (Giovanni de’ Medici) aveva raccolto presso la Curia i più grandi artisti del tempo, i quali sono tra i massimi che la storia dell’arte italiana ricordi: Raffaello e Michelangelo primi fra tutti. E di cose d’arte si discuteva e si capiva e si lavorava dovunque intensamente. Il trentenne friulano, capitato in simile ambiente col modesto corredo degli ammaestramenti di Giovanni Martini, dev’essersi sentito svuotare d’ogni baldanza; ed a spacciarsi come pittore non pensò nemmeno. Chi sa come ed a quali condizioni sarà riuscito ad entrare nella cerchia dei discepoli di Raffaello. Il quale, pressato com’era dalle più cospicue richieste e commissioni e non sapendo opporre rifiuti, si affidava in larga misura alla collaborazione degli scolari. Certamente Giovanni dovette essere animato da fermissima volontà e da instancabile diligenza, se in brevissimo tempo si rese eccellente in un genere di lavoro pressoché nuovo, che non poteva aver appreso prima d’allora e nel quale non avrebbe potuto trovare maestri illustri.
Gli stucchi della Loggia Vaticana, con quella capricciosa e festosa decorazione di fogliami, nastri, viticci, uccelli, putti e cammei, che corre ininterrotta lungo i pilastri, gli archi, gli stipiti ed invade anche le volte, tra le storie dell’Antico e Nuovo Testamento dipinte da Raffaello, traggono l’ispirazione dalle «grottesche» di antichi edifici romani e particolarmente delle terme dell’età imperiale, che Giovanni dovette studiare attentamente; e formano con la pittura e con l’architettura un’armonia così ben fusa, che agli stessi occhi esigentissimi dei contemporanei parve cosa quasi più nuova e notevole delle stesse composizioni di Raffaello, troppo spesso viziate dalla mano degli aiuti.
Nella novità e varietà e freschezza d’invenzioni di questa ornamentazione sta la ragione della fama che Giovanni si conquistò.”
Le ridipinture del secolo scorso, che hanno interessato quasi per intero l’opera, ci impediscono una valutazione diretta del suo lavoro.
Nel 1526 Michelangelo lo porta con sé a Firenze per la decorazione della biblioteca dei Medici, di alcuni soffitti nelle Gallerie degli Uffizi e poi nel 1532-33 a decorare la Sacrestia Nuova di S. Lorenzo (opera perduta).
Successivamente è a Venezia in palazzo Grimani e periodicamente a Roma.
- 3°) dopo il 1533 si fa più frequente la sua presenza a Udine dove dal 1539-40 si dedica all’architettura progettando e dirigendo la costruzione della torre dell’orologio in Piazza Maggiore. Sue sono le fontane sia della piazza Maggiore che di quella di Mercatonuovo, così come la scalinata che permette l’uscita dalla sala del Consiglio nel Castello di Udine al piazzale posteriore, diventando poi nel 1552 “proto e architetto” delle opere pubbliche della città di Udine.
E ancora esegue decorazioni nel palazzo patriarcale di Udine (sala azzurra ove la grottesca non è più vista come incorniciatura o riempitivo tra altre opere affrescate, ma diventa essa l’elemento decorativo principale di tutta la volta del soffitto), affreschi mitologici nel castello di Colloredo di Montalbano e, nel castello di Spilimbergo (1533 ca.), sviluppa un’opera molto originale, che vede combinarsi, sulle pareti, festoni ornati di fiori e di frutti con putti alati, i quali ultimi sembrano sostenere questi festoni alle estremità mentre nel mezzo sono posti medaglioni con sculture in stucco.

Pomponio Amalteo , 1505 Motta di Livenza - 1588 S. Vito al Tagliamento

Il vero allievo del Pordenone, in certi casi collaboratore in altri capace di terminarne le opere, fu il genero Pomponio Amafteo, nato a Motta di Livenza nel 1505, ma fin da giovane abitante in S. Vito al Tagliamento, dove si spense nel 1588.
Fu indubbiamente il maggior pittore friulano successivo al Pordenone, ed a lui guardarono, più o meno scopertamente, tutti gli artisti friulani della seconda metà del Cinquecento o dell’inizio del Seicento, soprattutto quelli operanti nella destra Tagliamento (ad es. Gaspare Narvesa). Dal suocero e maestro G.A. Pordenone trasse l’amore per la grandiosità delle forme, per l’esasperato movimento, per l’affollamento delle composizioni: le quali particolarità, com’è di ogni seguace, esaltò ed accrebbe. Gli mancarono però la forza, la potenza e la fantasia del Pordenone, così che spesso ripetè, quasi meccanicamente, situazioni ed immagini.
Per quanto riguarda la tecnica a fresco (fu abilissimo e sveltissimo pittore), questa è solitamente mista, nel senso che frequenti sono i ritocchi a tempera quando, addirittura, a tempera non sia l’intero dipinto.
- il gusto delle grottesche
Da Giovanni da Udine prese il gusto delle grottesche, di sola pittura senza stucchi, per contornare sempre i riquadri delle immagini (ad es. soffitto a cassettoni di S. Giovanni a Gemona) o per realizzare cornici di separazione delle scene o per riempire gli spazi tra esse (ad es. Chiesa dei Battuti a S. Vito al Tagliamento).
- le opere ad olio
L’Amalteo cominciò ancor giovane l’esecuzione per conto suo di opere ad olio e di cicli d’affreschi.
Delle prime (opere a olio) val la pena di ricordare i cassettoni del soffitto della chiesa di S. Giovanni di Gemona (1533) con figure di Santi, Profeti, Sibille (40 nel complesso, ma alcuni vengono assegnati a Gaspare Negro); la pala di S. Sebastiano nel Duomo di S. Vito al Tagliamento (1533): notevole per la originale disposizione delle immagini, la ricchezza coloristica e l’elaborata prospettiva, una Madonna con Bambino e Santi nella chiesa di S. Pietro a Travesio (1537), l’Annunciazione del Duomo di Cividale (1546), il Redentore nel Duomo di Maniago (1549), il Cristo in gloria nella Parrocchiale di S. Martino al Tagliamento (1549), la Madonna in trono tra S. Seb. E S. Rocco a Castions di Zoppola (1565-69), le tre pale del Museo di Udine (1547-74-76) (particolarmente riuscite le ultime due); le portelle dell’organo del Duomo di Udine (1555) e di quello di Valvasone, e anche le pale delle parrocchiali di Francenigo, Fratta di Caneva, ecc.
- cicli di affreschi
Tra i secondi (cicli di affreschi) si annoverano, oltre a scene nella Chiesa di S. Croce a Casarsa (1536) come completamento di un lavoro del Pordenone, quelli nella chiesa di S. Maria dei Battuti a S. Vito al Tagliamento (1535-46) e anche qui sembrerebbe coinvolto il Pordenone, come ispiratore forse, gli affreschi nella chiesa di S. Maria delle Grazie a Prodolone (S. Vito) (1538-42), e quelli dell’abside della chiesa di S. Maria Assunta a Lestans (Sequals) (1535-51) lavoro commissionato al Pordenone ma realizzato dall’Amalteo. Questi ultimi due cicli risultano integri e abbastanza ben conservati anche nella vivacità dei colori realizzando ambienti di rara misticità e anche di unitarietà stilistica.

Fuori regione, affreschi nella cappella Malchiostro del Duomo di Treviso, in cui pare abbia collaborato con il Pordenone, la decorazione del palazzo dei Notari di Belluno nel 1529 (della quale, purtroppo, rimangono frammenti divisi tra i Musei civici di Belluno e Treviso ed il Correr di Venezia) e della Loggia di Ceneda.

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